Kart
Arnhild è irrimediabilmente un'artista. Lo si capisce anche solo guardando i suoi lavori senza conoscere la sua storia, una biografia improntata alla ricerca artistica che l'ha portata in Umbria, sull'argine dell'incessante fluire metropolitano, su un'altura dalla quale guardarlo scorrere.
Le sue sculture concentrano il frutto del suo silenzioso osservare.
Il personaggio agile e nervoso che si arrampica su una pertica è forse la sintesi più intensa della sua poetica: è una solitudine tappezzata di frammenti di giornale, i fatti del suo tempo. Brani di carta strappati irregolarmente ne costruiscono l'orizzonte imprimendosi sulla sua pelle e diventando il suo spazio interiore.
Vano è il suo tentativo di sfuggirlo andando oltre, arrampicandosi verso un cielo irraggiungibile. Ma egli non rinuncia e con tenacia contorce acrobaticamente le membra nude. Il suo futuro è nel presente del suo sforzo e non ha compagnia nell'ascesa in solitaria. Free climber dell'anima, non ha strumenti o sicure contro le possibili cadute.
Il senso della vita, creazione unica e continua, da inventare con i propri mezzi e i propri limiti, con soluzioni provvisorie come un appoggio precario o una presa insicura, è il tema poetico delle creazioni di Arnhild. Suscita un sorriso stupito, ma induce chi guarda anche alla riflessione sul proprio agire, sulle proprie responsabilità e innocenza. Perché appare innocente e fragile il personaggio di cartapesta, ferito dal vento, inseguito dalle luci della notte artificiale e dal giorno costante dei media.Nelle tele recenti però anche quello spazio di possibile movimento si chiude e la libertà del tentare si restringe ancora. Quegli spazi acrobatici e pericolosi di ironia sono ingabbiati in una rete di angoli retti, come la grata di una prigione di pensieri in cui la realtà si nasconde e si perde. Fasce di bianco e di indifferenza coprono la fantasia fino alla sua resa e ogni gioco finisce.
Ma questo è un punto di arrivo della ricerca pittorica di Arnhild, una nuova tappa di un percorso intenso partito da lontano. Dipinse la città metropolitana e grattacieli che fanno dimenticare la loro destinazione utilitaria, ergendosi a strutture autonome, spettri di pensiero immensamente rigidi e inumani. Sono vicini alla sensibilità che generò il film Metropolis, e talora sembrano flettersi come scossi da una forza distruttrice in un lago di blu che impone la notte finale.
Altrove i colori si contrappongono in drammatiche tensioni e fissano momenti di lotta violenta ed estrema tra i sessi o per la sopravvivenza di sé o della specie.
Nella produzione più recente le figure danzano in gabbie o su scacchiere, sintesi delle geometrie urbane che le coreografie di Pina Bausch animavano illuminando di grazia e colori strade pilastri e muri.
Queste figure marcano un momento in cui l'ironia subentra al dramma e un tenue sorriso al grido.
L'impressione di gioco crea una poesia insidiosa nel suo personaggio: il corpo sottile e nervoso, agile e dinoccolato, vestito di azzurro festoso o di toppe di giornale come un arlecchino fuori posto, tenta equilibrismi disperati e viaggi incompiuti verso mete indefinite. Indossa la sua solitudine come una calzamaglia colorata, mostra i muscoli per nascondere la sua fragilità.
Ci induce alla tenerezza e al sorriso, ma questi si spengono a mano a mano che la riflessione riconosce in quei delicati equilibri e sforzi la condizione umana, la nostra, il nostro stare sospesi tra la terra troppo pesante e il cielo troppo infinito.
Arnhild cerca nelle tante modalità artistiche la sintesi di questa insanabile contraddizione ed in ogni opera infonde la sua profonda commozione e sofferta simpatia.