Biografia
Scultore e intagliatore Filip Piccolruaz - Arte della Val Gardena
Opere d'arte moderna, profana e sacra di alta qualità. Realizzazione di oggetti unici per l'uso quotidiano in legno e metallo su richiesta individuale.
L’artista, nato a Ortisei in Val Gardena, opera come scultore ormai da 25 anni. Si sente a proprio agio in diversi stili e lavora con svariati materiali, che spaziano dal legno al bronzo, per andare alla pietra, al metallo, fino alla neve e al ghiaccio. Le sue opere rappresentano esclusivamente pezzi unici, muniti del marchio di tutela della Camera di commercio di Bolzano, concepiti a partire da una bozza creata da lui stesso a mano. La creativita artistica di Piccolruaz non ha limiti: la vasta scelta di oggetti d'arte spazia dalle statue in bronzo, alle figure in legno, ai ritratti, alle opere sacre, alle opere in pietra, fino agli oggetti artistici d'architettura ad utilizzo specifico.
Non è facile per un artista vivere della propria arte. Si tratta di un delicato equilibrio tra esigenze economiche, il dovere di nutrire la propria famiglia e il desiderio profondo di libertà artistica.
Anche la trasmissione delle capacità acquisite alla nuova generazione di scultori rappresenta per Filip Piccolruaz una soddisfazione e, al contempo, una sfida. Per 15 anni è stato insegnante presso l’Istituto professionale per l’artigianato artistico di Ortisei (delle materie Scultura nel legno e plastica). Continua a tenere alcuni corsi inerenti questo settore (per esempio sculture viventi, ritrattistica e scultura). Inoltre, ha più volto tenuto lezioni agli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Venezia. Nell’anno accademico 2017 vi lavora come docente.
Filip Piccolruaz – Sculture di arte sacra e profana – opere realizzate nel proprio linguaggio formale uniche e fatte a mano
“La maggior parte dei lavori è stata realizzata su commissione. Apprezzo molto il fatto di non lavorare per un mercato anonimo, bensì di creare qualcosa per una persona in particolare. Soltanto attraverso il contatto diretto, il dialogo con quest’unica persona mi riesce di venire incontro ai suoi desideri. Far combaciare la mia libertà di artista con le idee delle persone è una sfida, una simbiosi che fa nascere qualcosa di nuovo, di armonico. Quando l’opera stessa sembra respirare finisce per raggiungere i cuori e gli animi degli individui, per toccarli; per me è questa la soddisfazione più grande.“
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Filip Piccolruaz uno scultore di grazia e di forza (di Andrea Baffoni)
L’arte di Filip Piccolruaz si distingue per un’attenta osservazione della realtà riuscendo, da quest’ultima, a trarre ogni minimo dettaglio per poi trasferirne gli elementi più autentici nel legno, come pure in diversi altri materiali. Il suo linguaggio figurativo appare ben calibrato e capace di esprimere al meglio sia la struttura fisica che le espressioni e gli stati d’animo dei soggetti. Partendo da questa constatazione, si rilevano pertanto alcuni aspetti preminenti, il primo dei quali riguarda il rapporto con la tradizione figurativa gardenese.
Scorrendo la biografia di Piccolruaz, si legge di come la sua formazione sia avvenuta attraverso l’apprendimento scolastico, presso l’Istituto professionale di scultura di Ortisei, e dalla lunga tradizione di famiglia che ha visto le generazioni prima di lui lavorare con impegno nell’ambito dei linguaggi tradizionali. Cresciuto a contatto con gli strumenti del mestiere, immerso nell’aroma delicato del legno di cembro che riempiva lo studio del padre Gebhard, Piccolruaz ha assorbito tutti quei fondamentali impulsi che gli hanno permesso di formarsi su solide basi lavorative e sviluppare un’innata capacità tecnica. Abile nell’utilizzo di molteplici materiali, infatti, tra cui pietra, gesso, terracotta, bronzo, è tuttavia il legno a rappresentare la base fondamentale della sua esperienza scultorea: cembro, tiglio, castagno, noce, betulla, acero, ciliegio, le tipologie preferite. È con questo elemento che realizza gran parte delle sue opere, alternando soggetti laici a figure sacre, dalle quali si percepisce una profonda dedizione verso la cultura artistica da cui deriva. Così la sua figurazione resta in alcuni casi ancorata a modelli tradizionali, per poi riuscire a superarli in virtù dell’ispirazione o della necessità in cui si trova.
Un secondo aspetto riguarda la componente stilistica. La figurazione di Piccolruaz mostra una doppia trattazione della materia: da un lato corpi attentamente levigati e dettagliati, fin nel più piccolo particolare, dall’altro soggetti sviluppati con forza sui quali resta evidente l’energia dell’intervento scultoreo. L’artista esprime così una doppia anima che spesso si manifesta in virtù delle tematiche. Si resta colpiti, in alcuni casi, dall’abilità nel restituire la perfezione del corpo e ciò accade principalmente nei nudi femminili o nella rappresentazione dei volti di bambini. In questi casi emerge la profonda attenzione per i dettagli, l’estrema accuratezza anatomica, tanto da indurre nello spettatore una sorta di desiderio tattile, un impulso a voler toccare la superficie, sentire attraverso la propria pelle come l’artista sia riuscito a infondere morbidezza ad un materiale altrimenti rigido. Il senso della bellezza, dunque, manifestato attraverso l’estrema capacità raffigurativa e lo sforzo dell’artista di immedesimarsi il più possibile nella perfezione della forma restituendone grazia ed eleganza.
A questa profonda dedizione verso la raffigurazione del corpo, fa da contraltare l’espressione della forza plastica, il dominio del gesto con cui l’artista infligge il colpo sulla materia. In più occasioni assistiamo all’approccio deciso di Piccolruaz verso il tronco, prima con la motosega, strumento con cui riesce a delineare i tagli preliminari, poi con le sgorbie, che sapientemente muove nella sbozzatura del soggetto. Ma è a questo punto che l’azione dello scultore deve decidere se e come proseguire, e in certi casi Piccolruaz sceglie di fermarsi, non procedere verso la definizione dettagliata (come già visto), ma lasciare l’evidenza dell’atto plastico. Una necessità espressiva che troviamo più evidente nei soggetti dedicati al lavoro, principalmente maschili, dove l’artista celebra la tradizione rurale gardenese e parallelamente quel senso di energia fisica cui il lavoro scultoreo è sottoposto.
Questa doppia anima rileva come in Piccolruaz esistano molteplici componenti facenti pur sempre capo, non dimentichiamolo, all’originaria formazione artistica. È l’opera d’arte figurativa stessa, infatti, ad esprimere tali aspetti, manifestandosi come raffigurazione della realtà e quindi orientata alla perfetta riproduzione di quest’ultima e, al contempo, emergendo brutalmente dall’azione generatrice dell’artista. Piccolruaz riesce così ad esprimere entrambe le componenti decidendo, di volta in volta, cosa mostrare: la grazia e delicatezza della forma o la forza e l’impeto della scultura.
Tali presupposti, altresì, ci spingono ad esaminare un ulteriore aspetto, più marcatamente lavorativo. Ci riferiamo cioè alla formazione artigianale cui egli fa capo, ma che più generalmente coinvolge l’intera tradizione artistica gardenese, basata sullo stretto rapporto tra scultore e committente. Si tratta in sostanza di quel “lavorare su commissione” che pare appartenere ormai a epoche lontane, ma che in Val Gardena non si è ancora perso. Ciò riguarda la relazione tra l’esecutore dell’opera e il richiedente, uno stimolo importante nella relazione umana dell’attività creativa. Non si tratta, cioè, di creare semplicemente un’opera, ma trovare la soddisfazione del cliente, instaurare quel misterioso rapporto tra oggetto desiderato e desiderio esaudito, di cui l'artista si fa tramite, sapendo di aver operato esclusivamente con l’ausilio dell’ingegno e delle proprie mani. Conseguentemente, ciò induce a riflettere sulla misteriosa relazione tra intelletto e corpo: in virtù del fatto che l’artista genera – il che equivale ad un generare e rigenerare continuamente la vita – egli diviene, infatti, un tramite tra il visibile e l’invisibile, tra opera immaginata e reale. Di conseguenza, le mani, capaci di modellare la materia, acquisiscono una dimensione di sacralità.
Ritroviamo dunque il principio del tatto, cui si accennava sopra, ma non più analizzato dal lato dell’osservatore, bensì da quello dell’artista stesso. Nell’animo del creativo, del resto, il desiderio di toccare diviene, più spesso, brama di generare, modellare, dare forma e sostanza a ciò che è informe. Ad esempio: infondere nuova vita al legno che è stato, a sua volta, vita dell’albero. Non è semplice artigianato, ma l’espressione più autentica del fare artistico e per questo preziosa, irripetibile e unica. Qualcosa di sacro, di una sacralità laica e riferita genericamente al mondo dello spirito, ma che in Val Gardena trova la sua ragion d’essere nell’antica tradizione della scultura ecclesiale.
Siamo dunque giunti all’aspetto del sacro, che in Piccolruaz non appare di poco conto. Ancora una volta si deve richiamare l’infanzia dell’artista, trascorsa nel laboratorio paterno dove, tra sgorbie, martelli e tronchi di legno assisteva al nascere di opere d’arte per gli arredi ecclesistici. Nella quiete delicata dei giorni in cui si approssimano le festività natalizie o pasquali, soprattutto, quando lo studio era un fiorire di Madonne, Crocifissioni, immagini di santi, natività, presepi e tutto ciò che riguardava gli ambienti sacri. Una tradizione nella tradizione, risalente già al bisnonno dell’artista, Piccolruaz Alois Ignaz, il cui lavoro consisteva principalmente nella realizzazione di immagini di Cristo. Un’impronta forte che Filip ha saputo mantenere e trasferire nel proprio lavoro, ma in questo caso, più che in altri, restando fedele agli stili del passato. Vediamo perciò il richiamo a modelli consolidati, come il Romanico, Bizantino, Gotico e poi il Barocco, Rococò, ma senza del tutto abbandonare anche interpretazioni più contemporanee. Ne è dimostrazione la grande scultura realizzata nel 2021 per la manifestazione Idea Unika, dal titolo Colpo di grazia, dove un’enorme figura di Cristo si erge imponente a bloccare con le mani il colpo violento di una scure. Simbolo dell’intervento divino, come protezione dalle sventure umane esprime, nel contempo, la forza e resistenza degli scultori gardenesi di fronte alle difficoltà.
Filip Piccolruaz è dunque artista del proprio tempo, capace di muoversi tra diversi materiali, stili e soggetti, praticando la scultura come il design e finendo addirittura, in quest’ultimo caso, per fondere le due cose. Ci riferiamo, in particolare, alle originali sedie-sculture in legno, di recente realizzazione e dalle forme umane che, sfruttando l’ergonomia del corpo, invitano il fruitore al riposo. Sono sedie, quando non addirittura poltrone, ma anche sculture vere e proprie e possono essere vissute in entrambi i casi. Un modo singolare di realizzare oggetti d’uso comune, senza dimenticare l’origine scultorea del lavoro e nel contempo consentire allo spettatore di entrare in diretta sintonia con l’opera, viverla e condividerne l’organicità fino a percepirne le emozioni stesse. Un po’ come le monumentali Nana di Niki de Saint Phalle, vere e proprie sculture da vivere, a dimostrazione di come Piccolruaz sappia ben interpretare il proprio tempo e le espressioni artistiche più recenti, pur restando un convinto difensore di quella tradizione senza la quale perderemmo, irreparabilmente, la consapevolezza di ciò che siamo o che vorremmo essere.